www.lagelateriadellarte.it di Francesco R. Giornetta
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I Galleristi – Dall’Impressionismo alla Pop Art

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Qui di seguito, come suggerito da Giulia Rosania,  alcune considerazioni sull’evoluzione di alcune figure del mercato dell’arte.

Per questo articolo, principalmente sui temi della Pop Art e Leo Castelli, ho usato anche parte di un precedente lavoro fatto in collaborazione con il Dottor Luca Romagnolo al quale faccio i migliori auguri per il suo futuro.

Evoluzione della figura del gallerista e del mercante d’arte.

Definire oggi il mercato dell’arte è impresa ardua. La globalizzazione ha reso, di fatto, anche questo settore di portata mondiale.

Chi ha una se pur minima conoscenza delle regole del mercato, sa benissimo che l’incontro tra domanda e offerta è l’elemento determinante per la sua stabilità.

Una situazione in cui si viene a determinare, per la sua nuova dimensione e per la molteplicità dei gusti, un aumento della domanda che si variega sempre di più, porta necessariamente ad un aumento anche dell’offerta.

Ormai per cercare di analizzare questo mercato le conoscenze limitate a aree localizzate non bastano più, necessitano competenze economiche più complesse, di analisi su piattaforma mondiale.

Inutile sottolineare che se in questa valutazione si inserisce anche la produzione artistica industriale, l’analisi delle cifre stilistiche sembreranno come impazzite.

Quante volte sarà capitato ad ognuno di voi di pensare ad un bel quadro da mettere in casa e ha provato a sceglierlo sui vari cataloghi on line? Se si hanno le idee chiare la scelta sarà già stabilita nel momento del desiderio, ma se ci avviciniamo a questa forma di mercato senza sapere esattamente cosa vogliamo, rischiamo di cambiare idea ad ogni click sul mouse a causa della imponente e multistilistica offerta.

Le capacità di critica artistica ormai sono diventate delle cenerentole in questo contesto, che fa del libero accesso all’offerta e alla domanda, tramite la rete, la sua cifra.

Con questo non significa che i professionisti del settore siano scomparsi, anzi si adeguano e proliferano.

Ad ogni modo, però, credo che sia possibile avventurarsi in una analisi delle figure che hanno contribuito all’evoluzione di questo settore, prima dell’arte e adesso dell’economia.

Tralascio tutto ciò che è stato mercato dell’arte prima di due secoli fa perché legato, con annessi e connessi, (critica, esposizioni, giudizi di merito e di forma) alle accademie.

Gustave CourbetDa quando i temi hanno incominciato a mutare in modo autonomo, senza l’indirizzo accademico, o da quando l’artista ha incominciato ad andare contro il potere politico a favore delle classi meno fortunate, il percorso del mercato dell’arte ha deviato di conseguenza.

E allora quando? Un po’ prima del 1830 con la trattazione dei temi della vita contemporanea di Delacroix o Gèricault, e dal 1830 stesso con la Scuola di Barbizon, con la sua pittura che incomincia en plein air per poi essere finita in studio.

E sicuramente passa per il 1855, quando Courbet, con l’aiuto di Bruyas (colui il quale aveva acquistato quasi tutti i suoi quadri), organizza il Padiglione del Realismo negli spazi di fronte all’esposizione universale di Parigi, in opposizione all’Accademia.

Paul Durand-Ruel

Credo che il primo vero mercante d’arte fu Paul Durand-Ruel e la data da tener presente è il 15 aprile 1874: la prima mostra degli impressionisti.

durand-ruelDurand-Ruel è il creatore di un modello che sostanzialmente si basa su sette puti fondamentali:

  1. Valorizzazione di una nuova forma d’arte non ancora sul mercato;
  2. Monopolio della relativa produzione artistica;
  3. Organizzazione di mostre personali;
  4. Apertura di filiali in altri mercati;
  5. Sostegno critico alla nuova scoperta tramite i mezzi di informazione a disposizione;
  6. Concede l’accesso libero alle sue gallerie;
  7. Associa il mondo dell’arte a quello della finanza.

Durand-Ruel assume il primo manet-fejeuners-sur-lherbeincarico di esperto d’arte, figura vicino al battitore, nel 1863 in occasione del Salon des Refusès, organizzato da Napoleone III dopo le proteste dei giovani pittori rifiutati al Salon ufficiale dello stesso anno. Tra questi Manet e il suo “Dejeuner Sur L’Herbe” che segnerà, senza volerlo, la svolta della nuova pittura impressionista.

Analizzando, adesso, i sette punti sopra elencati, ci accorgiamo che il primo, la nuova forma d’arte non ancora sul mercato da valorizzare, riguarda proprio la pittura Impressionista.

Durand-Ruel eredita dal padre una galleria e si distingue dagli altri galleristi, ancora legati al giudizio critico delle Accademie, poiché inizia ad avvicinarsi alla pittura della Scuola di Barbizon.

nadarNel 1870 si trasferisce a Londra ed entra in amicizia con Manet e Pissarro. Inizia a trattare gli impressionisti.

La prima mostra impressionista del 1874, nello spazio alternativo del fotografo Nadar, a livello economico è un disastro.

Nel 1876 organizza la seconda mostra impressionista nella sua galleria, anche questa senza fortuna, definita dalla critica come un “asilo insano”. Durand-Ruel, ad ogni modo, non molla, continua a crederci e a supportare moralmente e finanziariamente gli artisti impressionisti.

Nel 1883 organizza, ancora senza tanto successo, mostre a Berlino, Londra, Boston, Rotterdam.

A Parigi organizza le prime personali di Boudin, Monet, Renoir, Pissarro e Sisley.

Durand-Ruel in definitiva è un gallerista giovane che presenta artisti d’avanguardia.

Nel 1886 le sue scelte e la sua testardaggine lo portano sull’orlo del fallimento, quando all’improvviso gli arriva una richiesta di mostra a New York. Sarà il primo grande successo, la conoscenza del mercato americano con gli impressionisti e l’inizio della sua attività americana.

La sua attività diventa un crescendo, addirittura nel 1905 presenterà a Londra una mostra di 300 quadri impressionisti. Probabilmente la più importante mostra impressionista mai tenuta.

Si contano circa 12.000 quadri passati per le mani di Durand-Ruel di cui più di 4.000 impressionisti.

Una delle sue prerogative era l’intrattenere rapporti d’amicizia con i pittori della sua scuderia. Non è, quindi, solo un mediatore, ma cerca di educare e di imporre al mercato il nuovo gusto, organizzando mostre personali degli artisti. In questo modo riesce a dare visibilità ad artisti che altrimenti sarebbero rimasti per sempre sconosciuti.

Logicamente non mancava il tornaconto economico dato che, richiedendo l’esclusiva ai suoi artisti (Contratto di vendita opere di Manet con Durand Ruel del 1891), si assicurava tutta la loro produzione. Pian piano le opere degli impressionisti riscuotono il favore ed il gusto della classe borghese.

Ambroise Vollard

Ambroise Vollard dipinto da CézanneUn altro gallerista importante nella storia dell’arte è sicuramente Ambroise Vollard. Inizia ad interessarsi degli impressionisti, ma diventerà l’esclusivista di Cézanne e questa sarà la fortuna di entrambi. Cézanne veniva rifiutato sia dai Salon che dagli impressionisti.

Vollard, che crede in lui, gli organizza una mostra nella sua galleria, e poi ne organizzerà un’altra alla sua morte. In questo modo, un po’ alla volta, Cézanne verrà apprezzato e riconosciuto come grande artista.

A differenza di Durand-Ruel, Vollard comprava dagli artisti lotti interi di quadri, da Picasso a Monet. Questo metodo gli permetteva innanzitutto di lavorare sulla quantità, e poi gli anche di decidere lui il prezzo senza dovere niente all’artista, nessuna percentuale. Con Picasso ha un rapporto altalenante.

Daniel-Henry Kahnweiler

Daniel-Henry Kahnweiler (Ritratto fatto da Picasso 1910)Altra figura di gallerista importante fu Daniel-Henry Kahnweiler.

Anche lui compra i quadri a prezzi bassi, ed è a lui che si deve la fortuna del cubismo di Picasso e Braque. Kahnweiler era molto geloso dei suoi artisti, non voleva che esponessero insieme ad altri artisti perché, secondo lui, erano solo loro i promotori del cubismo.

 

 

 

Joseph Duveen

Joseph DuveenJoseph Duveen, invece, è un gallerista inglese che a differenza degli altri (galleristi d’avanguardia) lavora con artisti consolidati.

Arriverà a vendere Picasso ed altri pittori solo dopo che diventano famosi e i suoi contratti sono quasi esclusivamente con l’alta borghesia e l’aristocrazia; quella che si definisce una clientela di lusso.

Il metodo da lui usato, rivelatosi poi vincente, era quello dell’affezione. Dava il quadro a suoi clienti in prova, senza farli pagare, per vedere come stava a casa, anche per qualche mese e poi lo richiedeva inventandosi la storia che qualcun altro voleva acquistarlo. Il cliente, che magari si era affezionato, per non perderlo decideva di comprarlo.

Filippo Tommasi Marinetti

marinettiMa non solo i mercanti contribuiscono alla diffusione delle opere d’arte e delle idee dei vari movimenti. Lo fanno anche gli artisti. Sembra una cosa banale da dire, ma quando si parla di Filippo Tommasi Marinetti, evidentemente, la banalità è un optional.

Sceglie una presentazione al mondo delle idee futuriste che bypassa i canali che prevedibilmente gli sarebbero stati contrari vista la dirompente novità ideologica. Nonostante il movimento sia italiano, sceglie di presentarlo al mondo da una pagina di giornale francese, Le Figaro, nel febbraio 1909.

Coi suoi colleghi prepara a Parigi la prima mostra futurista nel 1911, ma poi la bloccano perché nonostante predicassero il futuro si accorgono di essere vecchi, e quindi la rimandano all’anno successivo, periodo durante il quale aggiorneranno le loro tecniche spiando gli altri, dove gli altri sta per Picasso e Braque.

Peggy Guggenheim

Peggy GuggenheimUn posto importante in questo percorso deve essere riservato ad una donna, Peggy Guggenheim, colei che nel 1938 inizierà una carriera che influenzerà in modo significativo il corso dell’arte nel ‘900.

Viene convinta da amici ad interessarsi all’arte contemporanea, Marcel Duchamp le spiega la differenza tra arte astratta e surrealismo, decide allora di aprire la sua prima galleria a Londra, e ospita per la prima volta in Inghilterra un artista del calibro di Kandinskij. L’anno dopo la galleria diventa un museo.

Nonostante la guerra stia iniziando lei acquista una grande quantità di quadri per il museo, da Picabia a Mondrian, da Dalì a Braque.

Nel 1941 torna a New York dopo aver aiutato molti artisti a lasciare l’Europa, tra i quali Max Ernst che diventerà poi suo marito.

Nel 1942 apre la galleria-museo Art of this Century, indossa un orecchino di Tanguy e uno di Calder per dimostrare la sua imparzialità tra l’astrattismo e il surrealismo.

Ma la cosa importante, che in qualche modo la collegherà al personaggio ultimo di questa breve storia, è il suo interesse per l’Espressionismo Astratto ispirato dal Surrealismo che questi artisti hanno conosciuto grazie a Peggy e al suo museo.

E grazie a lei che nomi come Pollock, Gorky, Rothko, saranno conosciuti in Europa; l’Espressionismo Astratto sbarca in Europa.

Leo Castelli

Leo CastelliTriestino nato austriaco (4 settembre 1907), di famiglia ebrea, Leo Castelli grazie al multiculturalismo della città natale, oltre che della sua stessa famiglia (padre ungherese, madre di famiglia di origine toscana) sarà molto ricettivo a tutte le novità che il mondo dell’arte stava per servire. Diventerà importantissimo per la storia ed il mercato dell’arte.

Per lui la galleria “Art of this Century” di Peggy Guggenheim sarà importantissima. In quell’ambiente conosce Greenberg il critico che appoggia l’Espressionismo Astratto e grazie a lui e a Peggy entrerà in contatto con Gorky, Pollock e De Kooning.

Prima di aprire la sua propria galleria, Castelli crea tutta una rete di relazioni e conoscenze che gli permetteranno di avere solide basi.

Nel 1947 tramite René Drouin, (altro gallerista) entra in contatto con la vedova di Kandinskij, morto nel ’44, La signora, mossa esclusivamente da interessi economici e senza nessuna intenzione di fare un’operazione culturale, ha bisogno di qualcuno che gli prepari il terreno nel mercato americano data la stagnazione del quello europeo nel dopoguerra.

Sempre nel 1947, Castelli è in contatto con un gallerista molto importante, Sydney Janis. Organizza delle mostre e avendo a disposizione le opere di Kandinskij si relazionerà con moltissimi collezionisti di alto livello e anche con la Baronessa Hilla Rebay, curatrice del Solomon Guggenheim Museum, da sempre interessato all’Arte Astratta.

Leo Castelli non si lascerà sfuggire l’occasione per ritagliarsi un posto di spicco nel sistema dei musei e gallerie di New York. Inizierà ad avere contatti con collezionisti, a sviluppare tecniche di vendita, diventerà il mediatore con l’Europa.

Nel 1949 gli artisti americani (soprattutto Espressionisti Astratti e del Color Fields) che volevano emanciparsi dal modello europeo e che in questi anni avevano difficoltà ad affermarsi, si riuniscono e fondano l’Artist Club dove si incontrano, discutono, organizzano mostre, e aprono le porte anche a Leo e a sua moglie Ileana.

Ninth Street Show - 1951

La mostra più importante dell’Artist Club è organizzata in un magazzino, e si intitola 1951 “Ninth Street Show”. Leo Castelli fu uno dei principali organizzatori scegliendo le opere da esporre.

Alfred Barr, curatore del MOMA, si scomoda per vedere i nuovi artisti americani e Leo Castelli inizia a proporsi come il vero conoscitore dell’Arte Americana, e capisce che è il momento di imporre l’arte americana ad un mercato ricettivo.

Castelli grazie alle teorie dell’Artist Club decide di sostenere principalmente l’Arte Americana e spinge Sydney Janis ad aprirsi in tal senso.

Un’annotazione: prima del 1951 Castelli aveva tenuto una mostra che si intitolava “Young Painters in the USA and France” mettendo a confronto giovani artisti americani con artisti francesi. C’era ancora la volontà di paragonare la produzione artistica dei due continenti, poi decide solo per l’arte americana.

Nel 1957 a 50 anni apre il primo spazio espositivo a New York nel suo appartamento nella 76°, sua moglie Ileana sarà determinante grazie alla sua capacità di scopritrice di talenti.

Green Target with four faces - Jasper JohnsNel 1958 incontra 2 artisti neppure trentenni: Robert Raushemberg e Jasper Johns e decide di puntare su di loro. Johns lo conosce vedendo una sua opera, un Green Target, in una mostra nel 1957.

Nel 1958, Jasper Johns sarà il primo artista ad avere una personale alla Leo Castelli Gallery.

La mostra riscuote un grandissimo successo grazie alle sue conoscenze e la notizia che fa scalpore è che Alfred Barr compra 3 opere di Jasper Johns per il MOMA.

Qui vengono fuori le analogie con Durand-Ruel:

  • prende un artista giovanissimo, non conosciuto;
  • mantiene rapporti con la critica, con i giornalisti;
  • da la caccia ai collezionisti e a tutto quello che gravita attorno alla galleria, lui è un maestro delle relazioni diplomatiche;
  • fa di più, ha un’idea rivoluzionaria, organizza le mostre il sabato sera, l’inaugurazione diventa un vero e proprio evento. Vengono chiamate persone importanti, più gente va più se ne parla, in quell’occasione si vendono le opere e si parla dell’artista.

In breve tempo Jasper Johns diventa noto anche a livello internazionale.

Un’altra prerogativa di Leo Castelli è quella di dare una paga mensile ai propri artisti, in questo modo li vincola assicurandosene la produzione.

Come Durand-Ruel, Leo Castelli, lega a sé gli artisti in modo molto saldo, se ne prende l’esclusiva per le vendite e utilizza tantissimo le collaborazioni con gallerie negli altri stati d’America, rinunciando anche alla percentuale di vendita, perché più gli artisti vengono visti, maggiori sono le possibilità di vendita.

Nel 1959 c’è la prima personale di Raushemberg che ha meno successo di quella di Johns.

 

In realtà, Leo cerca di far apprezzare gli artisti come Jasper Johns e Robert Raushemberg collegandoli all’arte europea ed in particolar modo a Marcel Duchamp, perché i collezionisti americani devono ancora essere rassicurati sul fatto che ci sia un collegamento con una tradizione.

Leo Castelli quindi crea rapporti istituzionali con il mercato e i musei, ha un rapporto privilegiato con il MOMA tramite Barr, organizza una forma di condivisione interessata con i galleristi e i conservatori dei musei con fini legati al mercato.

Si sceglie la sorte di alcuni artisti rispetto ad altri proprio in base a questo tipo di relazioni. Importante è l’informazione, tenersi aggiornati su cosa succede.

Nei primi anni ’60 entra in contatto con Alan Solomon che è il direttore del Jewis Museum di New York (dal ’62 al ’64) non a caso in questi anni nel ’63 e nel ’64 ci saranno delle retrospettive dei suoi 2 artisti di punta.

Il momento che segna la vittoria dell’arte americana, e di fatto di Leo Castelli in questa sorta di battaglia di primato tra Parigi e New York, è la Biennale di Venezia del 1964.

 

Conosceva la Biennale e aveva capito che poteva essere un ottimo trampolino di lancio per un nuovo movimento e soprattutto richiamava galleristi e collezionisti da tutto il mondo.

Organizza quindi l’ingresso trionfale dell’arte americana in Europa, dal comunicato stampa all’arrivo delle opere in pompa magna.

Il commissario del padiglione americano è Alan Salomon e per la prima volta il Governo degli Stati Uniti decide di finanziare la partecipazione americana.

Vengono esposte più di 100 opere, e sono così tante che non ci stanno nel padiglione per cui gli americani chiedono di avere uno spazio anche esterno ai giardini della Biennale per avere una sorta di continuazione, nel Consolato Americano, vicino alla chiesa della Salute.

Vengono presentati i “Four Germinal Painters”:

  • due astratti: Bruce Morris e Kennet Noland;
  • due legati al recupero dell’oggetto: Raushemberg e Johns.

E i “Four Younger Artists”:

  • John Chamberlain;
  • Claes Oldenburg;
  • Jim Dine;
  • Frank Stella.

 

Al padiglione americano vengono esposte le opere degli astratti e, invece, si pensa di unire Jasper Johns e Raushemberg agli artisti più giovani che lavoravano anche loro sul recupero dell’oggetto.

Opera di Robert RaushenbergLa giuria decide di dare il Leone d’Oro a Raushemberg con l’unico problema che potevano essere premiati solo gli artisti che si trovavano all’interno dei giardini della biennale.

Le opere di Raushemberg vengono portate dal Consolato in uno spazio creato appositamente ai giardini sul momento.

Questo scatena un putiferio, si condanna subito la nascente Pop Art.

Arman e la stampa francese se la prendono da morire con la giuria dicendo che è stata comprata. Da quel momento l’arte americana diventa dominante anche sul mercato europeo.

Alla Biennale viene utilizzata l’etichetta Pop Art. A Castelli interessava che fosse premiato uno dei suoi artisti di punta e lui stava già traghettando gli artisti Pop più giovani. Aveva già fatto una mostra di Roy Lichtenstein, ha già Rosenquist, avrà Oldenburg e successivamente Andy Warhol.

La mostra di Roy Lichtenstein verrà proposta alla Biennale successiva del 1966. Castelli spera per una nuova vincita, ma dopo il ’64 non era possibile che vincesse nuovamente un americano, però ha comunque una grandissima visibilità.

Dagli anni ’57 al ’66 trasforma la sua galleria e la sua figura di scopritore di talenti, in una Galleria di Brand.

Inizia a avere la coda di giovani artisti che vogliono esporre da lui perché voleva dire aumentare il proprio valore, e si inventa la lista d’attesa.

Da adesso sarà lui a scegliere i collezionisti, crea una gerarchia del collezionismo, crea una aspettativa. Al collezionista non interessava più il valore dell’opera, ma il valore simbolico.

Punta tantissimo sul mercato americano, anche perché dal ’65 l’Art Council propone sgravi fiscali per chi acquista opere d’arte e per chi li dona ai musei.

Lui esalta la posizione sociale, il valore simbolico che l’opera può dare allo stato sociale, con l’idea di avere un trofeo da esibire. Grazie alle liste di attesa può scegliere la clientela, regolare il mercato.

E’ paradossale, ma ad un certo punto diventerà difficile, per chiunque, comprare un’opera da LEO CASTELLI.

Morirà nel 1999 a 92 anni.

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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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