www.lagelateriadellarte.it di Francesco R. Giornetta
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2. Ha senso chiedersi se esiste una definizione di Arte? Possiamo porre confini rigidi all’Arte?

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Ha senso chiedersi se esiste una definizione di Arte?

Come ricorderete la prima parte di questo progetto si è chiusa con tre considerazioni derivanti dall’analisi della sentenza del giudice Waite nel caso Brâncuși del 1926In questa sede cercherò di affrontare la prima, ovvero che porre confini rigidi all’arte può rivelarsi un esercizio inutile.

Mi sembra abbastanza evidente che cercare di dare una definizione di arte che comprenda tutta la produzione artistica può rendere lo stesso termine (definizione) un contenitore senza senso. Dare una definizione dell’arte significa voler porre la produzione artistica all’interno di un determinato recinto, costringendo l’argomento a delle rigidità. Vuol dire cercare condizioni di verità necessarie e sufficienti affinché l’enunciato X è un’opera d’artesia vero.

Un pensiero di questo tipo nel campo dell’arte, a mio avviso, risulta del tutto impossibile, specialmente da Duchamp in poi. Come si fa ad accostare all’interno dello stesso contenitore opere di Michelangelo e di Duchamp?

   
Tondo Doni 1506/1508

Michelangelo

Galleria degli Uffizi

Fountain – 1917

Marcel Duchamp

Opera Perduta

Opere come queste evidenziano la difficoltà di definire che cosa sia l’Arte. Oggetti di questo tipo mostrano come l’impresa di trovare definizioni sia destinata a naufragare. Far posto a questi oggetti significa allargare a tal punto le condizioni della definizione che la stessa  rischia di essere inutilizzabile.

La cosa ha creato non pochi imbarazzi nel mondo dell’arte al punto che qualcuno ha suggerito che forse l’estetica tradizionale poggia su un errore, e cioè sul fatto che non si può cercare una definizione per qualcosa che non si può definire1.

Ma è davvero così? L’Arte sul serio non si può definire?

Morris Weitz, filosofo neo wittgensteiniano, suggerisce di spostare il problema da Che cosa è l’arte a Che tipo di concetto è l’Arte.2

Egli lavora sulla distinzione tra concetto chiuso e concetto aperto. Il primo non è suscettibile di modifiche. Evidentemente l’arte con la continua evoluzione delle sue forme e pratiche richiede un continuo aggiornamento del concetto stesso, e il caso Brâncuși ne è dimostrazione.

Inevitabilmente, quindi, egli arriva alla conclusione che arte è un concetto aperto e raccoglie un pensiero di Wittgenstein formulato nelle Ricerche Filosofiche quando parla del concetto di gioco, quello di “somiglianze di famiglia”3.

Vale a dire, spostando il concetto nel mondo dell’arte, fare una lista di capolavori indiscussi su cui il mondo dell’arte è concorde nel giudizio, e quando si presenta un nuovo caso da sottoporre a valutazione artistica cercare, in analogia, le proprietà con le quali abbiamo riconosciuto come arte il capolavoro di riferimento.

L’obiezione è ovvia.

Opere come la Venere d’Urbino di Tiziano, Nudo di Matisse e Bed di Rauschenberg, hanno di certo elementi in comune.

   
Venere di Urbino

Tiziano

Nudo

Matisse

Bed

Rauschenberg

Tiziano e Matisse condividono un letto e delle nudità; Tiziano, Matisse e Rauschenberg un letto, ecc.

In tutto il mondo dell’arte si possono trovare infinite somiglianze, ed è proprio questo il problema che ci porta molto lontani dal creare confini rigidi. Il rimedio sarebbe avere dei criteri da seguire nel giudizio, ma questo purtroppo ci riporterebbe al punto di partenza, cioè lo stabilire condizioni necessarie e sufficienti in virtù delle quali qualcosa diventa arte.

Inoltre, non si può ragionare nemmeno sul concetto di somiglianza regredendo, perché si arriverà ad un punto in cui ci sarà un’opera che non potrà essere confrontata per la mancanza di un’altra opera precedente.

Questa circolarità del presunto pensiero wittgensteiniano, rielaborato dai neo wittgensteiniani, ha portato a pensare che sia impossibile formulare una definizione di arte e a considerarla come un concetto aperto, e in quanto tale non definibile. Ho scritto presunto pensiero wittgensteiniano perché, come vedremo, il problema è che ci si è fermati al primo capoverso del pensiero di Wittgenstein.

Il secondo capoverso infatti introduce il pensiero di Arte come concetto fibroso

… Ed estendiamo il nostro concetto di numero così come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra con fibra.

E la robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre l’una all’altra.

I neo wittgensteiniani avevano tralasciato il fatto che l’appartenenza ad una famiglia tramite l’analogia della somiglianza di famiglia non è stabilita da un paradigma4, ma da un qualcosa che non si vede, da una caratteristica genetica. Un nuovo nascituro non è detto che debba avere relazioni di somiglianza esclusive con la madre o con il padre, ma queste possono denotare aspetti risalenti anche ad antenati che con lui non hanno nessuna connessione diretta.

Allo stesso modo la Venere di Tiziano e il Nudo di Matisse non condividono né la spazialità né la gestione della figura umana, ma possiamo farli rientrare in una caratteristica non visibile che può essere quella del genere artistico, il ritratto ad esempio.

Vi è una sovrapposizione di fibre che non si toccano tra loro, ma che fanno parte dello stesso filo.

Un po’ alla volta viene introdotto un cambiamento che non compromette però la comprensione dell’opera da parte del pubblico. Si arriverà così al momento in cui il set iniziale delle caratteristiche della prima opera sarà sostituito nella totalità da nuove regole che avranno qualcosa in comune con le regole successive.

Volendo trovare una tradizione storica a questo concetto di Wittgenstein si potrebbe proporre all’analisi un passo che egli scrive nelle Lezione sull’Estetica e che mi sembra in piena analogia con un concetto noto nel mondo dell’arte e già espresso da Vasari:

Wittgenstein
«Tutti i grandi compositori hanno scritto musica conformandosi a esse. ([Replica a un’obiezione:] Puoi dire che ogni compositore ha mutato le regole, ma la variazione era molto piccola;non tutte le regole erano cambiate. La musica era ancora buona rispetto a molte delle vecchie regole.»5

Vasari

«Mancandoci ancora nella regola, una licenzia, che non essendo di regola, fusse ordinata nella regola e potesse stare senza fare confusione o guastare l’ordine, il quale aveva di bisogno d’una invenzione copiosa di tutte le cose e d’una certa bellezza continuata in ogni minima cosa, che mostrasse tutto quell’ordine con più ornamento.»6

A quattro secoli di distanza viene ripreso lo stesso concetto, e il riferimento è sempre lo stesso: La Regola.

La storia dell’arte essenzialmente ci pone davanti a due grandi temi:

  1. Seguire una regola;
  2. La natura storicamente contingente delle pratiche artistiche. (questo lo vediamo nel prossimo articolo)

Approfitto di questo richiamo alla regola per anticipare un concetto che ci servirà in seguito per capire se ha senso chiedersi se esiste una definizione di arte. Purtroppo, la parte che segue è un po’ più complessa. Abbiate pazienza.

Il comportamento dell’individuo nella società è disciplinato da due tipi di regole:

  • Le regole costitutive;
  • Le regole regolative.

Quelle che ci interessano in questo momento sono le prime, ovvero quelle che generano una pratica che prima non esisteva.

Secondo il filosofo statunitense John Searle 7, una regola costitutiva di istituzioni viene a delinearsi quando la pratica di assegnare funzioni di status si regolarizza.

La formula delle regole costitutive è X vale come Y in C, che tradotto nel mondo dell’Arte potrebbe significare:

il quadro di Raffaello (X) vale come opera d’arte (Y) nel contesto rinascimentale (C).

Un esempio può essere quello della moneta, che funziona come tale non per la sua struttura fisica, ma semplicemente perché una collettività ha deciso di assegnargli quella funzione di status.

Quando si è stabilizzata la pratica di assegnare funzioni di status, cioè di conferire agli oggetti delle proprietà che intrinsecamente non hanno e che sono legate a cose che i soggetti coinvolti considerano importanti, le regole costitutive prendono corpo, e con esse emergono le istituzioni (ovvero i complessi di regole costitutive), la consapevolezza e i valori collegati a quelle regole.

Mentre nel concetto di gioco esse stabiliscono chi vince e chi perde, nell’arte esse stabiliscono cosa sia un successo e cosa un insuccesso, e dunque di quale sia il valore annesso e, dato che esse riguardano i mezzi, le tecniche, i temi trattabili ecc., la loro conoscenza è elemento essenziale per la formazione di un giudizio estetico. Searle scrive queste cose nel 1995, ma sembra che Wittgenstein già nelle sue Lezioni di Estetica del 1938, avesse annotato l’importanza, nella formulazione del giudizio estetico, della sensibilità alle regole

D’altra parte, se non avessi appreso le regole, non sarei in grado di dare il giudizio estetico. Imparando le regole, si acquista un giudizio sempre più raffinato. L’apprendimento delle regole modifica in realtà il vostro giudizio.8

(questo concetto tornerà utile quando parlerò della terza considerazione che discende dalla sentenza del caso Brâncuși, ovvero del parere della persona competente)

La produzione artistica costantemente cambia le sue regole, un po’ alla volta, in modo da non compromettere l’intelligibilità dell’opera d’arte, ma inesorabilmente. Le cause possono essere le più disparate: rivoluzioni sociali, economiche, culturali, cambiamenti dello stile di vita, nascita di nuove attività e via dicendo. Tutto questo rende impossibile il determinarsi di condizioni necessarie e sufficienti rigide e quindi la possibilità di definire un recinto dell’Arte. O meglio ancora, le condizioni necessarie e sufficienti sono legate al contesto storico-culturale. Chi ha quasi colto nel segno è Arthur C. Danto che ha elaborato una teoria che tenta di far coesistere l’atemporalità della definizione, che non varia, con la contingenza dell’elemento storico, ma questo lo vedremo nei prossimi articoli.

Nel prossimo articolo parlerò della seconda considerazione che deriva dal caso Brâncuși, ovvero cosa si intende per natura storicamente contingente delle pratiche artistiche o molto più semplicemente che l’Arte muta nel tempo.

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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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Note

  1. Articolo di William E. Kennick “Does Traditional Aesthetics Rest on a Mistake?” del 1958
  2. Articolo del 1956, “The Role of Teory in Aesthetics”
  3. L. Wittgenstein (1953) – Ricerche Filosofiche Traduz. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi (1967), sezione 67, p. 52
  4. Cioè da un esempio concreto come possono essere i rapporti di somiglianza con il capofamiglia.
  5. Ludwig Wittgenstein, Lezioni sull’Estetica, in Lezioni e Conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, © 1965 G. E. M. ANSCOME, Adelphi Edizioni 1967, p. 75
  6. Giorgio Vasari (1550) – Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (1550), Edizione Torrentiana, Einaudi, 1986, p. 542
  7. JOHN R. SEARLE (1995) The Construction of Social Reality Free Press  (Traduzione  italiana) La costruzione della realtà sociale -Edizioni di Comunità, Milano 1996
  8. L. Wittgenstein, Lezioni sull’estetica, in L. Wittgenstein, Lezioni e Conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa (1995) Biblioteca Adelphi, p. 61

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