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Alchimia (Alchemy), Jackson Pollock

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Titolo dell’Opera: Alchimia (Alchemy)

 

Anno: completato nel settembre del 1947

 

Materiali: Olio, pittura d’alluminio, smalto alchidico con sabbia, sassolini, filati e bastoncini spezzati di legno su tela (non verniciato)

 

Data e firma Autografe in basso a destra (47 Jackson Pollock)

 

Misure: 114,6 x 221,3 cm

 

Dove si trova: Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Solomon R. Guggenheim Foundation),

 

Anno di acquisizione 1948 con contratto firmato da Jackson Pollock. Dal 1976 a Venezia.

 

Numero di Inventario: PG 150

 

 

La produzione di Jackson Pollock può essere sostanzialmente divisa in due grandi periodi, quello che va fino al 1946 e quello che parte dal 1947 fino al 1956, anno della sua morte.

Per la verità, già a partire dal 1953, la vena artistica del pittore americano inizia ad esaurirsi.

Alchimia entra a pieno titolo nella seconda fase della sua produzione, non solo ovviamente per cause temporali (è stata realizzata nel settembre del 1947), ma anche e principalmente per le caratteristiche che la tela possiede.

Dopo un primo periodo ispirato dai temi dei muralisti messicani, dalle teorie del regionalismo americano di Benton, dal West e dall’interesse per i nativi americani e per le teorie junghiane sugli archetipi, la produzione pittorica di Pollock è interessata all’emancipazione dalle influenze artistiche delle avanguardie europee, che ad ogni modo, è utile ricordarlo, erano state sue muse ispiratrici con il continuo guardare a Picasso, a Mirò e principalmente ad Andrè Masson.

Harold Rosenberg, nel 1952, conia per la pittura di Pollock la definizione di Action Painting, all’interno di un contesto più ampio come quello dell’Espressionismo Astratto.

Gli anni in cui Pollock opera sono quelli in cui la leadership artistica passa da Parigi a New York, grazie anche alla migrazione, causa la guerra, di molti artisti dal vecchio al nuovo continente.

Nel 1947 oltre ad Alchimia, Pollock realizza altri diciotto lavori. La tecnica messa in atto è quella del dripping (sgocciolamento), che lo porterà a ricevere il soprannome di Jack di Dripper.

Con tutta probabilità Alchimia segna l’inizio della tecnica del Dripping. A questo proposito è bene ricordare che Pollock non è l’inventore di questa tecnica, ma piuttosto colui che la ha usata «… con una radicalità fino ad allora impensata»[1]. Altri artisti, prima di lui, hanno sperimentato questo procedimento, basti ricordare nomi come Hans Hofmann (Spring, 1944/45), Picabia (La Saint Vierge, 1917), Max Ernst (Giovane incuriosito dal volo di una mosca non euclidea, 1942/47)

È un’opera di pittura astratta e come tale cercare di darne una spiegazione tematica può risultare uno sforzo vano. A questo proposito basti considerare che il titolo stesso non è stato assegnato dall’artista, ma da Ralph Manheim, traduttore di opere junghiane e vicino di casa di Pollock. La ricerca, quindi, va rivolta principalmente verso la tecnica ed i materiali.

Per la tecnica ho già accennato al dripping, una sorta di danza intorno alla tela dove la colatura del colore, tramite dei bastoni, pennelli o addirittura dal barattolo stesso, sembra un procedimento che prende il via dall’inconscio.

Lo stesso Pollock nella rivista “Possibilities” (Robert Motherwell e Harold Rosenberg) scrive:

«…Preferisco la stecca, la spatola, il coltello e la pittura fluida che faccio sgocciolare, o un impasto grasso di sabbia, di vetro polverizzato e di altri materiali extra pittorici. Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio. Solo dopo una specie di “presa di coscienza” vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti, di distruggere l’immagine ecc. perché un quadro ha una vita propria. Tento di lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato è caotico. Altrimenti c’è un’armonia totale».

Opere come Alchimia, non sono altro che il residuo di una battaglia che si è combattuta sulla tela stessa, dove secondo alcune scuole di pensiero l’opera dell’artista non è tanto la tela, ma la performance che attua nella sua realizzazione.

Per quanto riguarda i materiali, invece, sembra che Alchimia sia una delle prime opere dell’artista a presentare della pittura di alluminio. Stabilire con precisione se si tratta della prima in assoluto è alquanto difficile dato che egli non riportava il mese di completamento dell’opera, ma solo l’anno; e in un anno come il 1947, dove Pollock realizzò diciannove tele, va da sé che la cosa diventa problematica.

Che Alchimia però presenti dei caratteri propri diversi da altre tele, datate sempre 1947, è innegabile.

L’uso di lacci, l’accennata pittura di alluminio, l’inspessimento dei segni grafici crea elementi di differenziazione rispetto, ad esempio, ad Enchanted Forest (1947).

Qualcuno ha visto nello scritto dello stesso artista alla madre, datato 4 settembre 1947 nel quale si scusa di non poterle restituire un grande telaio da ricamo, il termine ante quem in cui la tela è stata realizzata.

Nel febbraio 2015, dopo più di un anno presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, la tela è stata restituita alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dopo un restauro, durato più di un anno, che ha riportato i colori alla originale lucentezza e vivacità. Un lavoro reso necessario per rimuovere lo sporco accumulatosi negli anni, che aveva compromesso la vivacità dei colori e gli aspetti tridimensionali dell’opera.

A seguito dei lavori, inoltre, è emerso che a dispetto di un’impressione di casualità realizzativa, Alchimia è il frutto di una progettazione dettagliata ed accurata che vede il cadere del materiale pittorico sulla tela secondo un preciso ordine compositivo.

Linee dritte che si bilanciano con quelle curve, colori brillanti ai quali fanno da contraltare altri opachi, chiari che si pongono in equilibrio con scuri. Il tutto ingabbiato in una precisa griglia compositiva che la pulizia effettuata dai lavori di restauro, ha fatto riemergere.

Uno sforzo enorme non solo sul piano lavorativo, ma anche nella quantità di materiale impiegato; per Alchimia i tecnici impegnati nel restauro hanno stimato l’impiego di 4,6 Kg di materia pittorica. 15 volte di più di una tela rinascimentale.

Esposizioni:

  • New York, Betty Parson Gallery, Jackson Pollock, dal 5 al 23 gennaio 1948, (no catalogo);
  • Venezia, Museo Corre, Jackson Pollock, dal 22 luglio al 15 agosto 1950, nr. 19;
  • Berna, Kunsthalle, Tendance actuelles, dal 29 gennaio al 6 marzo 1955, nr. 571;
  • Londra, G., 1964-65, nr. 125;
  • Stoccolma, G., 1966-67, no 120;
  • New York, G., 1969, p.159;
  • Parigi, G., 1974-75, nr.129;
  • Torino, G., 1975-76, nr. 142
  • Venezia, Galleria dell’ Accademia, Pollock Exhibition (16 January – 1 April 1984)
  • Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia dal 14 febbraio al 6 aprile 2015
  • New York, Solomon R. Guggenheim Museum, Visionaries (Feb. -September 2017)

[1] Leonard Emmerling, Pollock, Taschen, Köln 2016 (edizione originale 2004), p. 60

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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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