www.lagelateriadellarte.it di Francesco R. Giornetta
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Giovanni Fattori ed i Macchiaioli

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Oggi vi propongo un articolo che è da un po’ che attende di essere pubblicato. L’ho scritto in occasione della mostra su Fattori tenutasi a Palazzo Zabarella a Padova dal 24 ottobre 2015 al 28 marzo 2016.

moti2Ma come di consueto è buona abitudine partire con un accenno di storia.

Nel 1815 il Congresso di Vienna determina una situazione politica italiana in cui al nord il regno Lombardo-Veneto è nelle mani austriache, il centro in quelle del Papato e al sud il Regno delle due Sicilie è sotto il dominio Borbone.

A Firenze, una delle capitali culturali italiane più attive e punto di riferimento dei giovani artisti, si respira invece un’autonomia politica sotto Leopoldo legato agli Asburgo d’Austria.

Intellettuali e rifugiati politici provenienti dai territori del papato, del nord e del sud Italia, si ritrovavano presso il Caffè Michelangelo di via Larga (attuale via Cavour).

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Diego Martelli Adriano Cecioni Telemaco Signorini

Anima intellettuale di questo gruppo era Diego Martelli che insieme a Adriano Cecioni, teorizzò

“la macchia in opposizione alla forma. La forma non esiste.”

L’altro nome famoso era quello di Telemaco Signorini, il quale propose di chiamare “Macchiaioli” (1862) il gruppo di artisti frequentatori del Caffè prendendo spunto da un articolo sul quotidiano torinese la Gazzetta del Popolo.

Quello dei macchiaioli è un movimento che si sviluppa in un arco di tempo che va dal 1855 al 1867.

Come succederà, solo successivamente, in Francia con gli impressionisti (1860 – 1870, le loro teorie sono conseguenza anche delle idee macchiaiole), e sulla scia dei realisti francesi (anni 40 dell’800), il movimento nasce come rivolta verso il gruppo degli accademici e con l’intenzione di ripristinare il vero nella rappresentazione figurativa.

Questo movimento va considerato anche tenendo conto di quelle che erano le idee positiviste che stavano facendosi largo nella cultura europea ed anche italiana. Un percorso di trasformazione delle scienze umane, per loro natura inesatte, a scienza esatta. Una nuova attenzione scientifica alle manifestazioni della realtà.

Tutta la loro teoria parte dall’analisi della luce, ossia dell’elemento attraverso il quale le percezioni visive possono avvenire. Non si può fare a meno di riprodurre la sensazione stessa della luce se si vuole riprodurre il vero.

Riprodurre la luce in quanto tale sulla tela però, è impossibile, lo si può fare solo tramite la modulazione di colori e ombre, di chiari e scuri.

La loro particolarità nasce dalla convinzione che nella realtà non esiste né il disegno, né il contorno, ma ciò che colpisce la nostra vista sono i colori organizzati per masse contrapposte.

In pittura il passaggio da un colore ad un altro determina il confine tra gli oggetti ed il loro esatto contorno e, il modo più semplice per raggiungere la rappresentazione della realtà è, quindi, l’impiego di macchie di colore.

Tutti noi conosciamo più o meno i grandi impressionisti. Bene, le differenze sostanziali non sono tanto nella ricerca del dato di luce (ricercato anche dai francesi), ma piuttosto nella tecnica di utilizzo. Loro usavano le virgolettature del colore, i macchiaioli appunto le macchie, campiture più o meno estese di colori elementari.

Scompare il disegno e viene restituita una sensazione di grande solidità. A differenza degli impressionisti, dove il dipinto tende a smaterializzarsi, con i macchiaioli vi è una grande solidità.

E così cambiano anche i temi rappresentati. Lasciati quelli neoclassici, di carattere storico e mitologico, l’attenzione sarà rivolta verso il vero, il reale così come appare dall’osservazione del quotidiano.

Oltre agli ideologi, Martelli e Signorini, sicuramente il più rappresentativo è Fattori.

Giovanni Fattori (1825- 1908)

fattori_ritrattoUn rivoluzionario in tutti i sensi. Partecipa ai moti del ’48. E’ naturalmente di formazione accademica. Nei primi anni ’50, si avvicina al Caffè Michelangelo e frequentando il gruppo che aveva dichiarato guerra all’accademia, cambierà il suo indirizzo solo alla fine di quegli anni.

Stretto amico di Martelli (l’ideologo del gruppo), la sua adesione alla macchia è spontanea, ed è lui stesso dice che sentiva

lo stimolo acuto di fare studi di animali e paesaggio…nel tentativo di mettere su tela tutte le sofferenze fisiche e morali di tutto quello che disgraziatamente accade.”

Si chiede: “quando all’arte togli il verismo, cosa rimane”.

Il verismo mostra le piaghe da cui è afflitta la società e manderà alla posterità i nostri costumi ed abitudini

Evidentemente sentimento comune in quel periodo quello del verismo. Di lì a poco anche in letteratura si avranno i riflessi con Verga, Capuano ed il Verismo letterario.

A questo punto dovrei parlarvi della Scuola di Barbizon vicino alla foresta di Fontainbleu con Rousseau, Daubigny, Diaz de La Pena, di come questi hanno attinto da Constable e quindi del Romanticismo pittorico inglese e delle sue differenze con Turner e quindi il Sublime ed il Pittoresco, temi fondamentali del Romanticismo e di come questa scuola (Barbizon) ha influito su Corot , Daumier, Millet e principalmente Courbet e del fascino che hanno avuto tutte queste cose su Renoir e Monet, ma credo di aver approfittato già troppo dello spazio che un post in un blog dovrebbe avere e devo passare subito anche alla descrizione di alcuni dipinti che ho scelto come rappresentativi di Fattori.

Qualcosa sui romantici e la potete trovare in questo articolo, e qui qualche accenno sugli Impressionisti. Poca roba, ma mi riservo di scriverne in modo più approfondito non appena possibile.

Vi basti sapere che Fattori è probabilmente il più grande esponente dei macchiaioli e che il suo obbiettivo era la rappresentazione del vero, principalmente la vita militare ed il lavoro umano attraverso il dato di luce, rappresentato fuori dal disegno e dalla linea di contorno e con l’uso di campiture più o meno estese di colore.

I suoi soldati però non sono quelli delle gesta eroiche degli accademici neoclassici da cui ha imparato in gioventù, ma quelli delle scene quotidiane, delle situazioni molto spesso dolorose e meno appariscenti. Il lavoro umano è indagato nelle scene della sua terra (livornese). Lavoro dei campi maremmani. Qualcuno lo ha definito “il cantore della terra inaridita dal sole, innaffiata dal sudore della fronte del contadino”. I suoi animali sono i buoi bianchi che trascinano i carri e l’aratro con fatica, insieme al contadino.

Le Opere

Campo Italiano della Battaglia di Magenta (1862)

g-fattori-battagliamagentaRealizzato per un concorso che celebrava la guerra del 1859, risulta vincitore nel 1861-62 (primo quadro italiano di storia contemporanea).

Come ci si può aspettare da Fattori, non è la rappresentazione di un momento di battaglia eroica, ma il ritorno dei feriti. Chi a piedi, chi a cavallo, chi barcolla, chi adagiato sul carro assistito dalle monache infermiere.

Attenzione, siamo agli inizi, sta svoltando nei contenuti non ancora nella forma. C’è il disegno ed il chiaroscuro ancora come da tradizione. Manca il sentimentalismo romantico, allora in voga, ed è evidente la ricerca di verità.

Nel 1875, un suo dipinto viene esposto al Salon di Parigi. Nello stesso anno quel Salon aveva rifiutato l’esposizione a Renoir. (Nel 1874 avevano organizzato una propria mostra espositiva).

Soldati Francesi del ’59 (1859)

giovannifattorisoldatifrancesi59Contemporaneamente ai modi tradizionali, Fattori porta avanti anche la nuova tecnica.

In questa tavoletta, di piccole dimensioni, ne sono evidenti i tratti distintivi. Sono i soldati di Napoleone sbarcati a Livorno, e quindi l’artista ha avuto modo di studiarli dal vivo.

Come potete vedere non c’è il disegno, la definizione è data dall’accostamento di macchie di colore. I contorni sono più sfumati. Organizzato in larghezza con semplici macchie sovrapposte.

La prima, ocra, crea il terreno, l’altra, più grigiastra, l’orizzonte sul quale si stagliano le figure dei soldati individuati in modo sintetico con veloci pennellate, e la parte più in alto, sottilissima rende l’azzurro del cielo.

La Rotonda di Palmieri (1866)

fattori-la-rotonda-palmieriStesse caratteristiche di Soldati francesi del ’59. Sono rappresentate alcune signore che, secondo la moda del tempo, fanno dei bagni d’aria di mare stando al fresco sotto un tendone.

Sviluppo orizzontale con fasce di colore e figure veloci con macchie di colore. Non c’è disegno, il chiaroscuro è assente. La definizione è data dalla sovrapposizione delle macchie contrapposte. I colori nelle fasce sono accordati sia mediante assonanza (caldo / caldo) che dissonanza (caldo/freddo).

Le macchie dei personaggi al centro danno solidità al dipinto. E’ la continuazione di una scuola pittorica che va da Giotto in poi che dà importanza più ai volumi che alla manifestazione delle emozioni, cosa che avverrà invece negli impressionisti.

In Vedetta (1872) (il muro bianco)

fattoriinvedettaScena giocata su forti contrasti delle macchie. Sensazione che ne deriva è quella di immobilità in una sonnolenta ed afosa giornata d’estate.

Il muro a destra conduce la prospettiva del dipinto, la quale è continuata dai due soldati a cavallo che bilanciano compositivamente la scena insieme al cavaliere che si staglia sul muro ocra.

Bovi al Carro (1867)

buoiImmobile quiete della campagna toscana nei pressi di Castiglioncello. Siamo su dimensioni diverse rispetto agli altri paesaggi di Fattori. Carro trainato da una coppia di buoi.

Ecco qui rappresentato il tema del lavoro del contadino coadiuvato da quello degli animali.

Quello che dicevamo, il sudore che innaffia l’assolata campagna maremmana.

Amplissimo orizzonte realizzato con campiture sovrapposte in fasce, dal giallo delle stoppie al grigio del cielo, passando attraverso il verde brunastro delle colline che scendono verso il turchese del mare. La prospettiva, incredibilmente ampia grazie anche allo sviluppo in larghezza del dipinto è accentuata dal viottolo che taglia diagonalmente le stoppie.

In questo ambiente il massiccio complesso piramidale del carro, buoi e contadino assume un aspetto monumentale che da solidità a tuto il dipinto.

Da notare come lo spostamento verso destra del soggetto del carro e del contadino contribuisce a dare vastità alla campagna maremmana.

Questa è la grande invenzione fattoriana. Se il carro fosse stato posto al centro, il tutto non avrebbe avuto quell’equilibrio di composizione, quasi classico, dove il paesaggio e le figure si controbilanciano in modo perfetto.

Lo staffato (1880)

giovanni-fattori-lo-staffatoSe finora ho dato l’impressione di parlare di un pittore contemplativo, adesso con quest’ultima tela vi dimostrerò che Fattori non lo era assolutamente.

Questo dipinto rappresenta un crudo realismo ed una grande dinamicità. Un cavallo spaventato che si trascina il cavaliere disarcionato attaccato per la staffa.

Qui le fasce sono due, divise orizzontalmente che quasi si fondono sulla linea d’orizzonte. Il cielo opaco contribuisce a delineare la criniera e la coda del cavallo, dando quell’impressione di violenta drammaticità e di concitazione. Alla quale contribuisce anche la rappresentazione della polvere.

Un dramma che si consuma nel silenzio della natura, solitaria che sembra quasi indifferente.

Immaginate il passo successivo, quando il cavallo e la sua vittima non saranno più inquadrati. Rimarrà il silenzio, qualche linea nella polvere e qualche macchia di sangue mista ai sassi.

35839-10-giovanni-fattoriQuesto dipinto non fu apprezzato dalla critica, e forse per questo era amato dall’artista. Una rappresentazione del dolore del singolo che diventa simbolo del dolore universale.

Fattori muore nel 1908 a 83 anni. In una lettera dell’anno prima emerge tutta la sua commiserazione, probabilmente anche acuita dall’età avanzata per l’epoca, dice:

Ho passato gli anni sperando e finirò scoraggiato maledicendo. Fortuna che ho ottant’anni e non vedrò per lungo tempo questo marciume della società presente

Ma probabilmente il dato che ha caratterizzato tutta l’opera di Fattori è stato il suo essere “omo sanza cultura”, come diceva. Questo gli ha permesso di agire senza vincoli culturali. Lui era convinto che per poter fare un’artista non serviva la cultura esatta.

Alla prossima.

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Francesco R. Giornetta laureato in Storia e Tutela dei Beni Artistici e Musicali presso l'Università di Padova.

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